La storia del Cappone di Morozzo: un prodotto della tradizione

La storia del Cappone di Morozzoè una storia che ha a che fare con le tradizioni trasmesse di generazione in generazione, con l’amore per il territorio e con la passione per la lavorazione di un prodotto che è simbolo di un’eccellenza apprezzata da tutta Italia.

Maria Rosa Tarditi è animata proprio da questa passione quando parla del Cappone di Morozzo, e racconta di come, ancora bambina, andava con la nonna materna a vendere al mercato i capponi allevati dalla sua famiglia.  Un’infanzia passata a stretto contatto con questo pregiato prodotto, del quale si è innamorata sempre di più nel corso degli anni: una passione, quella per il suo lavoro, che ha tramandato poi anche a suo figlio, che oggi la aiuta, insieme al marito, in una produzione a conduzione tutta familiare.

La storia del cappone di morozzo

Il Cappone: le origini

Il cappone ha delle origine molto antiche: si dice infatti che già nell’antica Grecia i galli subissero la capponatura, per riuscire a far fronte alle difficoltà pratiche di tenere più galli all’interno dello stesso pollaio. Nel corso dei secoli, poi, l’allevamento e il consumo di capponi si è diffuso sempre di più: Maria Rosa racconta di come in passato venissero utilizzati come regalo prestigioso da offrire, durante le festività, a chi aveva fatto dei favori alla famiglia.

Di tale usanza vi è una testimonianza perfino all’interno de iPromessi Sposi, all’interno dei quali Renzo offre proprio due capponi all’avvocato Azzeccagarbugli per ottenere la sua buona parola per la celebrazione del complicato matrimonio con Lucia. Allo stesso modo, era molto diffusa la pratica per la quale i mezzadri utilizzavano i capponi come forma di pagamento verso i loro padroni: oltre che per soddisfare il fabbisogno famigliare, quindi, l’allevamento di questo animale era utile come prestigiosa merce di scambio con la quale sdebitarsi.

Il prodotto: il Cappone di Morozzo

Maria Rosa afferma con orgoglio che il Cappone di Morozzo è stato definito da molti come il più buono d’Italia: ci spiega che i galletti subiscono la capponatura all’età di 70 giorni e vengono poi venduti ad un’età non inferiore ai 230 giorni, con un peso compreso tra i 2 e i 3 kili. Tale tempistica è fondamentale per riuscire ad ottenere la carne morbida, succosa e ricca di gusto che caratterizza questo prodotto e lo rende così eccezionale. Si tratta quindi di una lavorazione lenta e paziente, che comincia durante la primavera e si conclude proprio nel periodo delle feste natalizie: la lunghezza di questo processo è data dal fatto che Maria Rosa vuole realizzare esclusivamente alimenti completamente naturali, senza servirsi di nessun prodotto di origine chimica.

La lavorazione di questo animale, è inoltre da sempre affidata alle donne,  dal momento che necessita di mani molto fini e abili: si tratta di una tradizione che si è conservata nel corso degli anni e che dà particolare lustro alle donne di Morozzo, tra cui la stessa Maria Rosa, orgogliose dei diversi riconoscimenti ottenuti dal loro cappone.

La storia del cappone di morozzo

Presidio Slow Food

Dal 1999 il Cappone di Morozzo è diventato il primo Presidio di Slow Food che, con questa iniziativa, ha voluto salvare questo prodotto agroalimentare eccellente.

A partire dagli anni Sessanta, infatti, la tradizione legata ai Capponi di cui ci ha parlato Maria Rosa stava iniziando a scemare, fino a rischiare la definitiva scomparsa e perfino la famosa fiera di paese dedicata era ormai compromessa. In pochi anni, però, il presidio è riuscito a rilanciare l’allevamento di questo prodotto: dai 300 capponi del 1999 si è passati infatti a 3000 nel 2002. La certificazione Slow Food ha quindi dato un nuovo fondamentale slancio a questo prodotto, oltre che un’aurea di prestigio e di qualità.

Il Cappone di Morozzo a Natale

Il Cappone di Morozzo è uno degli alimenti più tipici della tradizione natalizia della zona e rappresenta un secondo piatto delizioso e nutriente.

Tradizionalmente viene servito lesso ed il suo eccellente brodo viene consumato o nella sua semplicità o insieme agli agnolotti del plin, un altro prodotto simbolo dell’eccellenza piemontese. La carne, poi, può essere mangiata, oltre che lessa, anche arrosto o con un goloso ripieno accompagnata da un buon contorno di verdure e patate: una vera delizia perfetta per conquistare gli ospiti e fare bella figura durante il periodo di Natale e non solo.